Autore: Stefano Liberti
Pubblicazione: Internazionale
Issa Fall ha l’aria affranta. “Anche oggi abbiamo preso ben poco, appena di che ripagarci la nafta”. Pescatore dalla nascita e da “cinque generazioni”, l’uomo esce in mare tutte le mattine alle 9 per tornare nel primo pomeriggio e vendere il pescato al mercato informale sulla spiaggia di Soumbedioune, alla periferia di Dakar. Una piccola baia sonnacchiosa che, ogni giorno dopo le 16, si anima tra uomini che scaricano casse, donne che gridano prezzi tra banchetti improvvisati, decine di avventori che tra le urla scelgono, soppesano, negoziano e comprano. Ma l’atmosfera è tutt’altro che festosa: tra le decine di pescatori che parcheggiano le piroghe si misura l’ampiezza di una crisi che da un po’ di tempo ha investito tutto il settore. I cesti sono mezzi vuoti, i visi lunghi. Finiti i fasti del passato: il mare non è più generoso come un tempo, “quando quasi si poteva pescare con le mani”. Fall, che svolge la funzione di portavoce della sua comunità, non ha dubbi: la colpa è delle navi straniere che sono venute a pescare nelle acque senegalesi, con il placet del governo centrale. “Prima sono venuti i russi e gli asiatici a saccheggiarci. Ora hanno riaperto il mare agli europei”.
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