Migranti, il regista Segre: un film su una donna coraggio, Ibi non è più invisibile

Si chiamava Ibi. E' arrivata in Italia, a Castel Volturno, nel 1999 dal Benin, ha contrabbandato droga, e' finita in carcere ma poi ha cambiato strada, e' diventata un punto di riferimento sano per gli immigrati di Castel Volturno. Una storia di sofferenza, caduta e riscatto che la stessa donna ha raccontato giorno per giorno per 10 anni con la sua macchina fotografica, con centinaia di foto e videolettere con cui cercava di raccontare se stessa alla madre e ai figli in Benin, che non ha visto per 15 anni. Tutto questo materiale e' ora un film, "Ibi" appunto, ma anche una mostra fotografica. La pellicola, realizzata dal registra Andrea Segre, e' stata presentata in anteprima all'ultimo Festival di Locarno e proiettata oggi alla Camera di deputati, mentre la mostra sara' allestita alla Reggia di Caserta dal 21 ottobre.

"Il film - racconta Segre alla Dire - nasce dal riconoscimento dell'autonarrazione di Ibi che per anni ha raccontato se stessa e il suo mondo attraverso un'arte improvvisata che e' nata anche come metodo di sopravvivenza, visto che e' diventata, oltre che un'apprezzata artista, anche una fotografa di matrimoni e battesimi. Quando ci ha lasciati nel maggio 2015 abbiamo avuto il permesso di usare il suo archivio personale, decidendo di onorare il suo percorso". Un percorso durissimo cominciato da corriere della droga: per sostenere i suoi tre figli, nel 1999 Ibi, che aveva 39 ani, accetto' di pagarsi il viaggio dalla Nigeria all'Italia trasportando droga. Venne scoperta, arrestata e condannata, passando tre anni nel carcere di Pozzuoli. Una volta uscita, Ibi non e' mai riuscita ad avere i documenti come immigrata regolare, per quella sua colpa originaria e questo le ha impedito di vedere i figli, rimasti in Benin. "Lo Stato italiano - evidenzia Segre - non ha mai riconosciuto il suo percorso di riabilitazione, commettendo un grave errore: se non si riconosce il cambiamento di una persona non si riconosce l'utilita' stessa della pena".

"Ibi allora - spiega il documentarista e regista - tento' di ricostruire il suo rapporto con la famiglia a distanza, anche attraverso la fotografia ma allo stesso tempo nei primi anni duemila divenne un punto di riferimento per gli immigrati e per le istituzioni localmente a Castel Volturno e Caserta". Ibi ha infatti lavorato per anni con il Movimento dei Migranti e dei Rifugiati, tanti giovani che tra le province di Napoli e Caserta si impegno connettendo le battaglie sociali dei campani e quelle degli immigrati.

"La sua battaglia non l'ha portata ad avere i documenti per se' ma ha aiutato molti immigrati a ottenerli. Persone che oggi hanno una vita sociale piu' facile pure in un Paese in cui oggi vivono 400mila stranieri senza documenti che lavorano nelle famiglie italiane, nelle campagne. I suoi figli e la madre di Ibi hanno visto questo documentario prima della proiezione a Locarno. Erano orgogliosi di lei".

E come spesso accade in Italia in questi giorni, post mortem, arriva anche un forte riconoscimento istituzionale per Ibi. Oltre alla proiezione del film a Montecitorio, infatti, il 21 ottobre sara' inaugurata alla Reggia di Caserta una mostra con le stampe delle sue fotografie, installata il giorno in cui il documentario verra' proiettato a Caserta."La mostra e' divisa in tre sezioni - racconta Segre - si parte da una selezione dei circa 400 autoritratti che ha scattato Ibi, un'autonarrazione che col tempo e' divenuta anche sperimentazione artistica. Poi c'e' una sezione sui fotomontaggi che lei usava per unire mondi lontani, ad esempio mettendo nella stessa foto parenti che vivono lontani. Infine c'e' una sezione di reportage: Ibi usciva di casa per fotografare di tutto, sapeva sempre quello che succedeva in paese. Erano foto che cercava di vendere per sostenersi ma che oggi sono una importante fonte di documentazione del mondo di Castel Volturno. A Caserta ci saranno anche il presidente e il direttore del Festival di Locarno, uno dei festival cinematografici piu' importanti del mondo". Ibi e' partita dal suo mondo "ma ha inventato - dice Segre - una direzione creativa e di presenza sociale rivendicata attraverso l'arte, in contrasto con quello che la burocrazia non le ha mai dato: la fotografia dimostrava la sua esistenza. Nonostante lo Stato la negasse". 

 

Testo pù grandeTesto più piccoloStampa

Condividi su: